Da una parte ci sono i numeri, dall’altra le attitudini. Dei numeri hanno parlato in tanti, ma vale la pena ripetere qualche dato. In Italia gli utenti attivi di Snapchat sono circa 270.000. Molti? Direi di no, se paragoniamo il fantasmino agli altri Social Network. Ai 25 milioni di Facebook ad esempio, o ai 5 milioni di Google Plus (la maggior parte dei quali sanno di avere un account gmail, ma non un profilo Google Plus). Se contassero solo i numeri, potremmo chiuderla qui. Ma perché Facebook, dopo aver acquistato Instagram avrebbe provato ad acquisire Snapchat? Non certo per quei quasi 300.000 utenti. Facciamo chiarezza: tra Instagram e Snapchat c’è un abisso. Perché il primo è un social fotografico che presuppone una componente molto importante, e che per sua natura è elitaria: il gusto estetico. Devi fare belle foto, e non tutti sono capaci. Snapchat abbatte questa differenza. Essere capaci di fare belle foto o bei video è secondario. La spontaneità viene prima. E con essa l’attitudine a comunicare in pillole di 10 secondi.
Se Facebook ha provato a comprare Snapchat, non riuscendoci, è perché quest’ultimo rompe le regole. Se desta curiosità un social dove ciò che viene postato sparisce dopo 24 ore e dove la comunicazione non è schematica, lineare, ma frammentaria, allora vuol dire che è favorito chi non segue una via già delineata, ma ne inventa una nuova. Si è parlato dei Millennials, una nuova generazione che, nonostante la crisi, avrà o già possiede, una capacità di acquisto non indifferente. Sono i ragazzi di vent’anni o poco più (anche qui le correnti di pensiero sono differenti, si va dagli anni ’80 ai ’90, la forbice è larga) e sono quelli che sono nati, digitalmente parlando, con Facebook. Per loro Facebook è l’equivalente della nostra televisione. Lo useranno, certo, come noi utilizziamo la TV, ma probabilmente andranno a “divertirsi” altrove.
Divertirsi. Una parola che nessuno nomina più. Chissà perché. Quando pensiamo a Facebook le prime associazione mentali sono al personal branding, alla reputazione, al potenziale datore di lavoro che verrà a vedere il nostro profilo (perché questo, come dice Osvaldo Danzi, headhunter, è realtà), al cliente con cui interagire. Tutto vero, e tutte possibilità straordinarie che la rete ci dà. Di cui che facevamo i primi tempi è rimasto poco. Il divertimento. Il postare una foto per il gusto di farlo. O un video senza pensare che le luci non sono proprio le migliori possibili. Ecco, Snapchat abbatte tutti questi problemi. Perché nel giro di 24 ore ciò che viene postato non c’è più e il modo migliore per non lasciare traccia è non pubblicare nulla per un giorno.
I brand, oggi, hanno un’opportunità unica. Quella che hanno avuto quasi dieci anni fa con Facebook. Ovvero presentarsi come “amici” degli utenti. Attenzione, non sto dicendo che devono “aggiungere” chicchessia, ma che se su altre piattaforme il divario è ormai ben segnato, e viene ridotto, accorciato o eliminato solo in caso di tone of voice vicino a quello del cliente (Ceres su tutti), qui c’è una nuova opportunità. Partiamo tutti dallo stesso livello, tu brand hai una nuova possibilità, ed è quella di parlare la mia lingua, con i miei mezzi. Né più, né meno. Non puoi usare una macchina fotografica più figa o una videocamera da 100 mila euro. Devi comunicare alla pari con me, sorprendermi con le idee. Con la sostanza, più che con la forma. Snapchat è sostanza pura. È eliminazione dell’avverbio, dell’aggettivo ridondante, del photoshop che ci fa sembrare più belli. Al massimo potremo sembrare più ridicoli, ma quella è un’altra storia (lingue di cane e zampe di coniglio sono la parte meno interessante di questo social).

Quando si parla di un “fenomeno”, spesso si fa confusione. Nessuno, tantomeno il sottoscritto, dice che Snapchat è il futuro. Che è l’unica soluzione possibile. Facebook è troppo avanti, Twitter è il modo migliore per dialogare con influencer e persone autorevoli, Google Plus è essenziale, Linkedin è il miglior social possibile quando si parla di lavoro. Snapchat è l’inizio di un cammino, un social che cambierà delle abitudini consolidate a livello digitale, grazie ai video verticali, ai geo-filter, alla possibilità di racontare storie a tempo. Non è rivoluzione, è nuove abitudini. Usarlo non è un obbligo, inserirlo in una strategia di marketing nemmeno, anzi potrebbe essere deleterio per certi settori (anche se per quanto riguarda le flash sales, credo sia la migliore soluzione possibile ad esempio). Sottovalutarlo, by the way, è da sprovveduti. In my humble opinion.
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