L’influencer marketing è una delle tecniche più discusse nel web: identificata spesso con il semplice coinvolgimento di personalità con un grosso seguito sui social media, l’idea che il messaggio tra azienda e consumatore possa essere mediato da una voce di riferimento non è nuova. Già agli albori della comunicazione di massa gli opinion leader sono stati identificati come un passaggio cruciale per spostare di informazioni verso un pubblico naturalmente portato a recepire meglio determinati argomenti.
Oggi, Matteo Pogliani ha raccolto e sviluppato questo delicato processo nell’unico libro italiano sull’argomento “Influencer marketing” edito da Hoepli. Una lettura fondamentale che abbiamo avuto l’occasione di approfondire con l’autore per scoprire un approccio professionale ed efficace. La riflessione parte da un concetto basilare, espresso nelle parole dell’economista Jeremy Rifkin:
Pensiamo a dipendenti influenti, come De Laurentiis con il Napoli, che iniziano a chiedere di inserire nel contratto una clausola sul diritto di immagine consapevoli di quanto “la posizione primaria rivestita in un gruppo sociale sia oggi un valore, in primis economico, ed è ovvio che si cominci a riconoscerlo”. Un fenomeno nuovo e interessante, che pone una serie di domande in cui probabilmente è contenuto il futuro dell’influencer marketing. Soprattutto pone l’interrogativo da cui tutti i marketer dovrebbero partire: chi è l’influencer?
Pogliani non ha dubbi, innanzitutto è bene distinguerli dai VIP che “sono per natura influencer: riconosciuti, famosi e con una vasta audience” ma “non sono sempre perfetti, dato che hanno un costo di coinvolgimento elevato e risultano poco credibili. Le ultime ricerche Nielsen stabiliscono che sono le persone a noi vicine quelle su cui abbiamo maggiore fiducia”.
L’obiettivo come sempre ci guida nella scelta:
Diversi sono gli strumenti per scovare gli influencer di riferimento come Augure, una suite totalmente dedicata all’influencer marketing, o Buzzoole Finder, perfetto per Twitter, e Talkwalker, adatto sia in fase di identificazione che monitoraggio. Una buona dose di osservazione del lavoro dell’influencer farà il resto: “Se si procede con spontaneità, competenza e con la mente rivolta a dare valore a chi ci segue ,riuscirò a creare intorno a me un gruppo di persone per cui io rappresenti una certezza. Essenziale poi non fermarsi, perché influencer non si resta per diritto acquisito, ma solo continuando quella strada intrapresa. Svendersi, essere poco trasparenti, cercare in tutti i modi di monetizzare non è certo intelligente, perché ci riporterà in men che non si dica nell’anonimato iniziale”.
Una volta definita l’identità del nostro influencer è bene capire quando e come proporre la collaborazione all’azienda, con una certezza: se a muoverci è la necessità del ‘tutto e subito’ è meglio valutare altre forme di marketing.
“Il reale valore nel terzo millennio delle aziende e dei manager che le dirigono, non sarà il fatturato che essi producono, bensì il numero e la qualità delle relazioni da essi instaurati con i propri target interlocutori e di riferimento interni ed esterni“L’influencer marketing non è solo una tecnica di vendita ma l’evoluzione operativa di un nuovo modo di pensare l’intera economia. “Io la leggo come la sempre maggiore necessità di generare valore condiviso” spiega Pogliani ”un valore che deve per forza guardare al lungo termine e non accontentarsi di convertire al momento, come succede troppo spesso”. È il passaggio tra testimonial e ambassador, tra la pubblicità e le conversazioni. “Si sta finalmente (anche se lentamente) capendo che non basta farci mettere la faccia, ma che serve qualcosa di più. Serve essere riferimento per gli utenti e riuscire a dare risposte utili alle loro necessità. L’ambassador non è semplicemente una figura prestata all’azienda, ma è parte integrante di essa, sua voce e immagine nel mercato. Una figura che la rappresenta e ne comunica al meglio, dal di dentro, gli aspetti più significativi. Il testimonial è figura da pubblicità, in parte ‘vuota’ ed incapace di creare coinvolgimento a più stadi mentre l’ambassador nell’ influencer marketing, genera relazioni e fa da ponte tra il brand e gli utenti”.

“Se dovrò, ad esempio, lanciare una nuova linea prodotto o voglio ottenere awareness le celebrities restano un punto di riferimento. Se invece voglio puntare sul fattore competenza e dare vita a campagne fortemente incentrate sull’autorevolezza dovrò virare su figure diverse e con maggiore knowhow, come ad esempio i blogger” sottolinea Pogliani.Il mezzo televisivo in questo senso può aiutarci a fare chiarezza sull’identità della personalità che vogliamo coinvolgere, un canale ambito da molti per il picco di visibilità in grado di dare. Pensiamo a youtuber o blogger che sono entrati nell’orbita televisiva quasi come punto più alto della propria carriera. “È altrettanto vero però” avverte Pogliani “che passare dalla tv tende a livellare il fattore knowhow, dando sì più fama, ma rischiando di limitare la credibilità e l’autorevolezza. Si finisce in un mare nostrum tra ex Grande Fratello e Tronisti di turno, non certo una valore aggiunto per i brand. Un percorso sì più veloce, ma spesso, proprio per questo, anche meno longevo”.

“L’influencer marketing ben fatto non è one shot, ma punta a lavorare per generare relazioni a lungo termine, quelle capaci di fare maggior valore a mio avviso. Non è questione di vendere adesso una volta, ma di creare una community per cui io sia riferimento e che acquisti da me nel tempo. Se non si è dotati di pazienza meglio sicuramente lavorare di advertising puro. Avremmo meno problemi e saremo più soddisfatti”.L’influencer marketing è un progetto a medio e lungo termine di cui è possibile misurarne il ritorno, dal momento che “una ricerca di Tomoson parla di 6 dollari guadagnati ogni dollaro investito. Sfido a trovare attività altrettanto performanti”. Una volta spiegato il ruolo e le potenzialità reale di un influencer è “essenziale poi lavorare step by step, così da abituare l’azienda a questa nuova forma di comunicazione. Partendo piano eviteremo investimenti troppo ingenti e avremo il giusto tempo per dar vita ad un progetto ben sviluppato e dimostrarne il ROI. Proporre casi di studio ben fatti è un’altra via che secondo me paga molto, mostrando concretamente i vantaggi che porta il coinvolgimento di queste figure nella comunicazione del brand”. Una collaborazione ancora più efficace se si tratta di un l’e-commerce “a patto che si inizi a guardare maggiormente alla conversione” avverte Pogliani. “L’autorevolezza e la credibilità che hanno gli influencer permettono di avere forte impatto sulla reputation del brand e dei suoi prodotti, andando così a influenzarli positivamente. Reputazione che impatta in quello che Google definisce Zero Moment of Truth, la fase che segue lo stimolo d’acquisto e che vede gli utenti informarsi online per comprendere se fare credito o meno a tale stimolo. Facile comprendere come i contenuti mediati dagli influencer siano un vantaggio enorme in questo passaggio”.
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