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Facebook: cose da sapere per proteggere la privacy

Chi utilizza Facebook per il social media marketing, già lo saprà, ma proviamo a capire meglio l’annosa questione legata alla privacy del social network di Zuckerberg.

“Dichiaro quanto segue: qualsiasi persona o ente o agente o agenzia di qualsiasi governo, struttura governativa o privata, utilizzando o il monitoraggio di questo sito o qualsiasi dei suoi siti associati…”. Inizia così la “bufala” più recente che spopola in questi giorni in Italia. Inutile dire che per proteggere la privacy non può bastare uno status, soprattutto se questo fa riferimento alle leggi presenti nell’Ucc (Uniform Commercial Code) che non ha nulla a che vedere con la riservatezza e, vale la pena sottolinearlo, essendo un libro di leggi americane, è fuori luogo pensare che possa avere validità anche in Italia.

Ecco il testo completo:
“Dichiaro quanto segue: Qualsiasi persona o ente o agente o agenzia di qualsiasi governo, struttura governativa o privata, utilizzando o il monitoraggio di questo sito o qualsiasi dei suoi siti associati, non ha il mio permesso di utilizzare informazioni sul mio profilo, o qualsiasi parte del suo contenuto compaia nel presente, compreso ma non limitato alle mie foto, o commenti sulle mie foto o qualsiasi altra «immagine» pubblicata nel mio profilo o diario.

Sono informato che a tali strutture è strettamente proibito divulgare, copiare, distribuire, diffondere o raccogliere informazioni o intraprendere qualsiasi altra azione riguardante o contro di me tramite questo profilo e il contenuto dello stesso. Divieti precedenti si applicano anche ai dipendenti, stagisti, agenti o qualsiasi personale sotto la direzione o il controllo di dette entità. Il contenuto di questo profilo è privato e le informazioni in esso contenute sono riservate al circolo di persone alle quali esso è destinato. La violazione della mia privacy è punita dalla legge. UCC – 1 – 308 – 1-103. Facebook è ora un’entità quotata in borsa.

Tutti sono incoraggiati a pubblicare un bando come questo, o se preferite, è possibile copiare e incollare questa versione. Non pubblicare tale dichiarazione almeno una volta, indirettamente permette l’uso di oggetti quali immagini e informazioni nei vostri aggiornamenti di stato pubblici”.

Il testo dello status fa riferimento ad un codice esistente, cosa che conferisce credibilità al messaggio “si sfrutta la paura della gente che terze parti o forze dell’ordine possano entrare nei profili, possibilità che viene data dalla magistratura a fronte di un reale pericolo o di fondato sospetto e che non può di certo essere lenita dalla presenza di un simile status sulla propria bacheca”.

In realtà, l’unico modo per proteggere la propria privacy è quello di fare un uso accorto delle impostazioni di Facebook”. Cosa peraltro ribadita al punto 2 delle dichiarazioni dei diritti e delle responsabilità di Facebook in cui si legge che il proprietario di ciò che viene postato è l’utente e che ne cede a Facebook una licenza non esclusiva.

In quanto grossa entità di richiamo per la Rete, gli infonauti e per tutte le aziende che lavorano nel settore del social media marketing, Facebook è piuttosto soggetta a bufale tra quelle nuove e quelle meno nuove che si ripresentano però con una certa ciclicità: su tutte quella che prevedeva l’introduzione di un fee di  4 dollari e 99 cents per l’uso del social network; è apparsa con buona regolarità dal 2009 al mese di settembre del 2011 e si è ripresentata ad inizio 2012 cambiando soggetto, non più Facebook ma Instagram, tanto per restare in famiglia.
Ha tenuto banco per mesi la convinzione (anche in questo caso falsa) che alcuni hackers fossero in grado di pubblicare, a nostro nome, insulti e video a sfondo sessuale sulle bacheche dei nostri contatti. Se ne è parlato da novembre 2011 a maggio 2012, poi il silenzio. Ma restiamo in attesa di nuovi sviluppi.
Non da ultimo, ma in questo caso siamo tutti certi si trattasse di un clamoroso fake, la notizia secondo cui Zuckerberg, stressato dal troppo lavoro, avrebbe deciso di chiudere per sempre Facebook il 12 marzo scorso.
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@thesocialware su twitter Pinterest per il Social media marketing. Piccola guida per i brand @Franceant su twitter Pinterest per il Social media marketing. Piccola guida per i brand
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Pro e contro della nuova politica Google sulla privacy

Uno degli argomenti più discussi di questo periodo sul web è la nuova politica sulla privacy di Google.

C’è chi dice che questi cambiamenti rendereanno più facile la vita degli utenti permettendo loro di raccogliere e personalizzare tutte le informazioni di proprio interesse sul web. In un mondo, quello di internet, super competitivo, quasi in “overdose” di informazioni, vi assicuro che trovare con più facilità ciò che si cerca non è poco.

Tuttavia, per poter personalizzare al meglio i risultati di ricerca Google avrà la possibilità di conoscere ancor più in profondità il profilo di ogni utente: i più critici sostengono che questa sia una mossa strategica il cui fine sia quello di vendere sempre più pubblicità calpestando la privacy di ognuno di noi. Tutte le informazioni che Google avrà a disposizione infatti, permetteranno alle aziende che investono in campagne SEM e di Pay per click di raggiungere con estrema facilità il proprio target, aumentando di conseguenza il ROI sui propri investimenti.

Analizzando più nel dettaglio questa nuova politica abbiamo scoperto che:

Google sta combinando più di 60 diverse politiche sulla privacy, raccogliendo gli elementi favorevoli di ognuna di esse con il fine di rendere sempre più facile immagazzinare dati personali degli utenti. L’azienda di Mountan view si giustifica dicendo che in questo modo potrà rendere sempre più agevole l’esperienza di navigazione degli utenti. Certo, l’altro lato della medaglia è che in questo modo renderà estremamente più appetibile per le aziende l’utilizzo del servizio di pubblicità sul motore di ricerca, che è la principale fonte di guadagno di Google. Se infatti per gli inserzionisiti sarà più semplice raggiungere il proprio target obiettivo, le possibilità di conversione saranno maggiori e, di conseguenza, gli inserzionisiti saranno ancor più spinti ad investire. Certo, è fuori discussione che la privacy venga “calpestata” però in questo modo ognuno riesce a trarne vantaggio:

  • L’utente trova con più facilità ciò che cerca. Quando il tempo diventa una risorsa preziosa, questo aspetto non è cosa da poco
  • Le aziende riescono a farsi trovare in base agli interessi precisi del loro target di riferimento e, di conseguenza, hanno maggiori possibilità di guadagnare
  • Google mette in connessione sempre più stretta domanda e offerta, e guadagna (in misura esponenziale) sulla vendita di pubblicità

Ma c’è un modo per impedire a Google di “abusare” della nostra privacy? La risposta, purtroppo è No almeno nel 90% dei casi. L’unico modo per evitare che google raccolga i nostri dati è quello di non utilizzare i servizi che Google stessa offre, e cioè: gmail, google+, Youtube, Adwords, Adsense, Google analytics, Picasa. Sulla Dashboard di Google, è disponibile la lista completa del panorama dei servizi offerti “gratuitamente”.

Tuttavia, è doverso fare una precisazione per i maniaci della privacy. Google non traccia per nome e cognome gli utenti registrati, ma lo fa associando ad ogni utente un indirizzo ip numerico. Inoltre bisogna dire che non tutti i servizi sono coperti da questa nuova politica sulla privacy: alcuni prodotti, come il browser Google Chrome e Wallet continueranno ad essere disciplinati dalle norme sulla privacy attuali.

Avvocati e attivisti della privacy di tutto il mondo hanno avviato una crociata contro il colosso di Mountain view sostenendo l’illegalità di queste nuove norme. In particolar modo, ciò che si contesta è il fatto di non dare la possibilità agli utenti di acconsentire o rifiutare le modifiche.

Il dibattito è aperto! Diteci la vostra su: